UCCIDI IL PROF. TEO-CON CON LA SALDATRICE DEL TURCO SOTTOCASA – LA STORIA SIAMO NOI.

Io a concausa di quella stronza dell’Alessandry di Latino/Italiano ad ottobre 2002 mi ritirai brevemente dalla quarta liceo. Dovetti chiudere la Pimp My Raia per crisi esistenziale, con pure tutti gli investitori spariti per mia presunta mancanza di credibilità. Ora, io non so se voi abbiate idea di quanto costi chiudere una azienda in Italia. Ecco: nemmeno io.

Mi arriva in terza quella signorina sessantenne della Looysa, un tartufo con la voce da serpe. Inizia subito a beccarmi visto che sono il più spettinato della classe e quello che risponde a modino ai suoi modi catto-lugubri di raccontare l’italiano e il latino, quello che scrive complicato di cose che sai solo tu e quello che si bacia con la tipa fuori dalla classe – o quantomeno queste sono le mie spiegazioni al riguardo, ma ho ragion di crederle fondate, considerata l’esistenza di documenti ufficiali in possesso del mio Avvocato Dott. Blanco Sanchez. Da subito il rapporto è pessimo e a me sta in culo da qui fino a Samarcanda che nessuno l’ha mai capito dove cazzo sta Samarcanda. A settembre 2003 mi arriva in classe quello che poi sarebbe stato una delle più intense e decisive amicizie mai avute. E questo veniva, egli solo in procinto di spettinarsi, da una espulsione dal liceo del suo paesello del cazzo LIMITROFO. Un mese bastante di comunella e lei ovviamente mi vede subito come il nuovo guappo del bad ass espulso del paesello LIMITROFO.
Poi a ottobre l’editto del brutto destino: in un tema scrivo malamente il mio nome e cognome, cioè tipo invece che scrive’ chessò Paolo Liguori scrivo Pali Liquore, roba effetivamente hardcore. In classe quando mi chiama a correggere il compito e dice in fronte alla classe che affronto le avevo fatto, invocando la morte nera e ariete di questo mese, rimango sbalordito perché, chiaramente, non lo avevo fatto apposta, ma manco mai. Lei mi umilia davanti a tutti, io le chiedo scusa ma la strega mefistofelica non mi vuole credere. Io invece so benissimo che sono dei tempi di merda per me: mio padre mi picchia coi bastoni ardenti, mia madre (solamente di giovedì) vede la gente morta, mia sorella è una seguace a distanza nonché amica di penna di Charles Manson, mio fratello è figlio unico. E io mi taglio.
Ho in testa tanta di quella drenante merda a cui pensare che il cervello mi dev’essere flippato per qualche secondo, obnubilandomi il creato e la motoria delle dita. Chiaro, tendo a non controllare come scrivo il nome, lo do per assodato, dato, auto-verificato(si).
Mi viene su una frustrazione tale che decido di ritirarmi, e magari andare da un’altra parte. Penso anche ad un viaggio ed a una situazione estrema, tipo sei mesi di base antartica, magari con la stessa storia de La Cosa però con Fabrizio Frizzi e Rita Dalla Chiesa al posto de La Cosa. Tempo tre settimane mi manca un casino il mio amico e la mia tipa e la mia scuola: me ne torno, con la coda bassa di un Border Collie a cui hanno appena detto essere in realtà uno Yorkshire. E, si dica, rovinandomi il rapporto (mai avuto prima) col preside, uno col collo da tacchino e gli occhi piccoli merekani, un sessantenne in pieno presomalismo da Bertrand Russel e dalle vecchie VHS di bondage vietnamita. Da lì due anni di rotture di cazzo infinite: l’Alessandry me la sogno di notte, ci piango sopra, voglio solo finire e poi morire per cluster emotivo. Mi piace latino, sono bravo. Mi piace italiano, sono bravo: interrogazioni ineccepibili e temi scritti come cazzo voleva lei -> di merda.
Le ho augurato la pellagra, la diarrea perenne del pesce rosso, la dislocazione materica simultanea con conseguente morte, le urla più invernali degli Immortal.
A 70 anni l’ho rivista in centro nel periodo di Natale e le ho detto che D’Annunzio si faceva cagare addosso dai soliti rumeni in fila all’agenzia di collocamento.

LA MIA SPOSA STAVA AL FIUME, A LAVARE.

AND IF YOU WANNA TALK ABOUT FUNNY THINGS.

Successe quindi che per dimenticare una strafiga mega drive del genere sono dovuto ricorrere a rimedi molteplici. E non tutti erano poi rimedianti: 

UNO – Riaprire il booklet di Mellon Collie and Infinite Sadness, disco che nessuno sa essere uscito tra la morte di Jerry Garcia e la prima di Ace Ventura, When Nature Calls. Da atavico sostenitore del siffatto dischetto, con la presente mi premerebbe anche sottolineare che trattasi di un disco fottutamente enorme e che per fortuna, per fortuna eh, non è mai stato sottoposto ad idolatrazione ecumenica come quell’altro rumore per ambienti di Nevermind. Per noi ci sono pezzi:12 che ci piacciono proprio un fottìo.

DUE – Mare. Playa. Sonne. Bien Manger. Per lavarmi via l’onta della mia incapacità a gestire any relation, per sfrondarmi TU da cerebro e pancia e cazzo. Dico, avere questo senso di felicità sommerso nel profondo, lo splendore che aureola il mio essere che si perde, lo spendore che si perde, riccioli biondi. Trovar impossibile la scesa di una comunicazione onesta di qualsivoglia centro discorsivo, solo per avere le idee confuse su come ti sei comportato, su cosa sei stato, su cosa non sei più sicuro di essere. E per quello riuscire a dire solo vaccate, ridere nervosamente, eludere i cocci veritieri. Vergognarsi da solo, nella propria cameretta, con Tommaso Pincio in mano destra e il cazzo morto in sinistra.                                                         

La beltà che fu quel freno a mano inaugurante: vita che brulica sottovoce, nella sabbia, nella spuma che mi fonava addosso lo scirocco. Accarezzato dall’acqua salina in un commovente debutto d’estate. E mi siedo e mi guardo le isole, ‘ste cose senza tempo, mi rimpicciolisco, m’annullo. E la ripenso, i suoi vichinghi biondi in my mind, e vedo le sfaldature nel cuore delle immagini, le linee di rottura. Poi non le vedo più e non capisco un cazzo. Il sole barluggina, l’acqua sciaborda, e io il NIET. Mi piacerebbe il mare della notte insieme a te, ti dico. E tu non rispondi.

L’idea era una mesata al lago di Tiberiade, ma per inceppi logistici ho preferito rimanere nel territorio. 28 giorni dopo pesavo 10 chili in più e cagavo arancini e bestemmiavo le divinità nostre con dei ceffi magrebi conosciuti al porto. Samir faceva un doppio passo allucinante, non lo fermavi mica.

TRE – Mandare un saluto con le bombe napalm a tutti quelli che quest’anno m’hanno davéro rott’er cazzo. Ad alcuni ho proprio suonato il citofono e caldeggiato l’acquisto di una bella tanica di benza idratante al posto della patetica nivea blu.

QUATTRO – Correre, andare a correre come forrest. Sono andato a comprarmi le scarpe da profi, la tutina coi fusò che non dicevo la parola fusò dai riscaldamenti pre-partita periodo liceo, sono addirittura arrivato a comprarmi E l’orologio da divo forte così mi cronometro scatti allunghi anda blanda E gli occhialini anti-x come Edgar Davids. Per ora corro minuti:85, il tutto dopo aver subito molteplici stiramenti dei glutei, delle falangi, un trauma cranico al piede e un infarto all’unghia dell’indice sinistro. 

CINQUE – Iniziare finalmente Lost, spegnerlo dopo due puntate e mettere dentro la vi-eiccés di Selvaggi, con Fassari on the track. 

SEI – Progettare. Nemmanco! Riprogettare. Riqualificare il concetto di Go With The Flow, ricordarsi che sei fondamentalmente un bad motherfucker e un bugiardo echepperò pensa di vivere in un cazzo di film merekano. La prossima volta apri la bottiglia dell’estasi, dai, e la fai respirare, la fai scorrere, drena ragazzo drena, arieggia, let it breathe. Appoggiala da qualche parte vicino alla finestra e vedi la luce del colore che pieghe ha preso, bevila un sorso adesso e un sorso dopo mangiato, tienitela un po’ per domani, conservala per una grande occasione con gente importante. O per una session di solipsismo in cameretta, la morte dei morti; pimpami sta raia e andiam  a ballare la tecnazza. Basta che funzioni. Che ci stia.