LA MIA VECCHIA SQUADRA DI CALCIO DEI SALESIANI

Ti ricordi quella volta che Sgarbinato stava leggendo “Mattatoio n’ 5” in spogliatoio?

Formazione:
– Perto
– Kenneth
– Sgarbinato
– Anuel Zella
– Maron
– Zorniani capitano
– Santa
– Pippo
– Kenneth
– Said
– La Spada

Pronti ad entrare:
– Fugaz
– Tornoloide
– Alfred
– Granson

Io ricordo quella volta che Anuel Zella, ti ricordi di quel tipo?, risultato ontologico di circostanze davvero sfortunate, aveva la schiena sinusoidale e batteva le palpebre con grande agitazione, ti ricordi, un giorno prese palla sulla nostra area piccola e iniziò a correre palla al piede verso la porta dello Scledum uscì dalla porticella d’ entrata palla al piede e continuò a correre fino a Marano poi Vicenza poi Verona poi Trento Bolzano München Bonn sempre palla al piede sbavando come un epilettico e arrivò fino ad Hamburg-Lübeck poi Danmark prese una nave e sempre correndo palla al piede intorno al traghetto arrivò a New York e da lì a Chicago poi Nebraska poi Los Angeles prese un’ altra nave e da lì Australia poi Indonesia India Al Jumhuriyah al Iraqiyah sempre correndo spaccò il culo ai talebani in Afganistan e in quel momento sentì un attimo di affaticamento fisico ma il cervello gli impediva di tradurre questo stimolo in un pensiero razionale dandogli vita e forma linguistica e allora continò a correre e dalle radure dell’ Afganistan arrivò in Türkiye Cumhuriyeti poi България România Republika Slovenija Italia Udine Lignano Venezia Padova Dueville Schio tornò nel campo dello Scledum e scaraventò la palla sotto il sette e ingordo si guardò attorno sbavando e si battè il petto andò sotto la doccia si fece la sacca prese il Ciao bem-bem andò a casa salutando tutti con una scoreggia e un Sito In Sagra Pi Tardi? rivolto a Sgarbinato che stava giustappunto finendo di leggere un libro sull’ uso della “j” al posto del “gl” nella lingua meticcio terrona importata al nord. Pioveva quel giorno, la mandava giù pesante. Ricordo Serragìn dire a Soccato che la vagina è una guaina in cui infilando il pene senti come una sensazione di piacere, di gaudio. Soccato lo disse a me, io lo dissi a Tornoloide, Tornoloide lo disse a Sgarbinato che inviò una mail alla morosa di Serragìn, la quale arrivò accompagnata da Don De Lillo, entrarono in spogliatoio e disse “Io sono Federica, cinquanta la bocca e venti la fica, questo è Don De Lillo, dì ciao Don, Ciao Don”. Una doccia stava gocciolando e sottolineava il ticchettìo degli istanti isolati, Anuel Zella cercava di capire se, per ottenere acqua calda, dovesse girare la manopola a destra o a sinistra, ma continuava a dimenticarsi se stava girando a sinistra o a destra. Un filo di bava gli oscillava fino all’ infradito. Tornoloide stava giocherellando con una nocciola, la sua parentesi roditrice. Ricordo quella volta quando Carlo Jolla entrò in spogliatoio soffermandosi sul cazzo del ghanese Kenneth, !cristo! toccava lo scolo del pavimento. Carlo Jolla era un piccolo proletario dal passato agreste e dal presente pure ma cammuffato da dirigente calcistico e socio di un’ azienda specializzata in trucioli di ghisa, aveva perenni snevate di forfora sulle spalle e la pelle unta e grassa, le guance da san bernardo e sessant’ anni che pesavano da morire. Disse: “Ragazzi, diomerda, vinciamo cinque a zero e stasera soppressa e formaggio per tutti!”. Kenneth cercava di capire la differenza semantica tra “io” e “me” e Anuel Zella cercava di spiegargliela toccandogli la spalla in un atto di tremenda intimità. Si fermarono sulla differenza tra scaleno e isoscele. Carlo Jolla aveva gli occhali tondi appannati, l’ alito fatto di morte, la giacca multi-angoscia da piccolo proletario, quelle indecise tra l’ elegante lo sportivo il bucolico, quaranta tasche e in climax acustico ad ogni due passi. Merez l’ allenatore entrò e urlò a tutti “Non mi trovo più il cazzo!”. Tornoloide scoppiò a piangere e volle la mamma. Fugaz si stava facendo i gargarismi col tè bollente, e a intervalli regolari cantava Lonely as i am together we cry. E tutti dicevano Anche Io Voglio Ascoltare Frusciante. Ricordo un eccesso di accondiscendenza nella voce di Tornoloide in risposta positiva alla richiesta del Merez di mettersi a gattoni al centro dello spogliatoio per essere usato come sgabello dove poter far sedere uno sciancato e deluso-dal-suo-piccolo-proletarismo Carlo Jolla, situazione che sfuggì di mano molto presto allorché Tornoloide accucciato disse nota a Merez di come Zorniani mancasse del carattere e della scorza necessaria per essere capitano di una squadra il cui leader fisico sul campo era Anuel Zella uno che senza il calcio sarebbe finito nel tunnel dell’ osteria del tagadà della droga e dell’ arte contemporanea più frocia e iconoclasta, Merez prese a male la capziosità di Tornoloide e gli ordinò di andare in doccia insieme a Said che non si lavava le ascelle dal 1989 l’ anno in cui Platini decise di non consumare più di un piatto di pasta carbonara al giorno. Fu lì che Tornoloide capì che a volte la vita ti mette nella condizione di dover rispettare gli ordini di gente che non arriva all’ asse del formaggio. Quel giorno lo spirito della squadra cambiò: Granson si iscrisse ad un corso di pastorizia applicata, Sgarbinato confessò la propria dipendenza dalla flessione vocalica nelle parole di origine greca, Alfred il nigeriano mostrò i suoi Quaderni dove aveva appuntato cose tipo “Ottobre 2001; ho capito che la poesia di Orazio si riassume in: satira esametrica, poesia giambica e poesia lirica”, Merez jr ammise di essere limitato sinapticamente nella comprensione logica dei processi matematici ma di avere grande inventiva nelle scienze dello spirito, Carlo Jolla dichiarò le proprie parafilie cioè farsi fare le pompe dai gatti e scopare solamente davanti a Fabrizio Frizzi che presenta Scommettiamo Che?, Merez si mise a piangere perché per anni aveva nascosto di non sapere chi fosse Don De Lillo e che ancora non aveva capito se era uno che recitava nei Sopranos un prete di Torrebelvicino o il pusher di mdma di Sgarbinato o che, Said disse di non conoscere il suo paese d’ origine ma che di sicuro lì parlavano un’ altra lingua. Quel giorno andarono tutti in campo con titubanza e rassegnazione, La Spada venne sostituito al 90′ sul punteggio di 0-0 e uscendo dal campo mise insieme con le dita mignolo-anulare-medio-indice il numero 4 che nella cabala siciliana significa Lo Sticchio. Fugaz e La Spada da quel giorno presero strade diverse, scelsero l’ essere e ripudiarono la contingenza. Aveva piovuto tutto l’ anno e fino al 30 maggio, ma l’ estate dicevano gli esperti che era a grosso rischio siccità.

COSA FARE A SCHIO QUANDO SEI MORTO: DILLO A JOHN SAVEMAN

Schio è un quarantamila dietro Vicenza, dietro un Duomo che levati c’è una finestra sul cortile che dà su un cespuglio di rovi e un parcheggio a pagamento, al di qua della finestra un campionatore Roland e una tastiera che farebbe vomitare una capra, appoggiata al muro la Fender che John Frusciante diede via per comprarsi l’ ultimo pacco da sei di Succo Di Frutta Yoga Alla Pera prima di bruciarsi casa da solo. Qui è gradita – per motivi etici – la felpa con cappuccio. Se ti siedi, puoi raccontare come va. White Lie nasce d’ autunno-inverno e si innesca su anafore armoniche il cui accento minore cade su un desiderio che rimane inattuato sotto le coperte, agli utenti più dritti dice subito Koyaanisqatsi ma in realtà oltre alla parafilia del loop non c’ azzecca un cazzo d’ altro. La spiaggia e il ciotolame lasciati verso le otto di sera, e il mare che uno lo vorrebbe vedere ogni giorno, il mare. E allora il primo minuto e mezzo di White Lie cresce tra la certezza della bellezza dell’ esistenza delle cose delle persone e il fatto che prima o poi qualcosa viene a non esserci più. Ma questo è corredo per coglionate: tutto è ripetuto gioco minore/maggiore, che quando si esprime al meglio crea aspettative e tensione. E la tensione, una tensione morbida, lancia le note e le raccoglie a ruota e ne dice tutta la forza; ma il gioco è bello quando dura poco figuriamoci un minuto e mezzo o più, e Saveman questo lo sa, e allora lui ci dà dentro di brutto con la suggestione della reiterazione per poi dedicarsi a quello che gli riesce perfetto: la legna del còre. Questa è una questione di principio, mi sta dando un flash emozionale uno che non sola porta i capelli come Scamarcio la patta come Charlot e la barba come Gabriel Minchiastorta la pornostar boliviana, ma che ascolta addirittura gli 883 più isolazionisti e legge Vonnegut sulle scale del Duomo. La botta arriva al crepuscolo, tra i loop che si squagliano sotto l’ effetto psicotropo di reverse e delay e un’ ondata di suoni nuovi che arrivano a pioggia e tirano su un rigurgito di materia che scivola e si inerpica liquida nella stanza (dei ricordi), con quel tappeto di VZVZVZVZVZVZVVZVZVZVZV di fabbrica aphex-natan fake, un carillion del volemose bene, una drum machine schizzoide in modalità caos che è esperienza metafisica: Saveman è felice astratto incostante insicuro, e per questo dipinge a più tinte. La schiusa dopo i due minuti è una lasciata sulla prospettiva-REMIND, un caravanserràglio di note e loop circolari, e in quanto a qualità sonora l’ attitudine è da vero dude, para-equalizzazioni dei miei stivali che io nemmeno ce li ho gli stivali, ma il sottotesto arriva forte: musica che pompa musica e che pompa immagini, che alza il volume delle improvvisate macchinazioni armoniche. Distruttiva e ricreativa. E’ penosa l’ opposizione naturale di fondo del cuore e dell’ amore e del loro disordine: White Lie ne è la diretta antitesi. E’ una storia di quattro minuti, una vecchia pagina appallottolata di appunti che ripiglia forma e tra le pieghe e i buchi ridà vista alle parole e alle impressioni e agli sviluppi. Qui si parla di bed-melodic-legna rough e tough tendente infinito, tessiture sbottonate e cuor di pop.
A me ha detto che si, lì ci sono stato, e ci sono ancora. Tell me, how does John Saveman look like? Attaccare le cuffie dai.